18 Nov 2021

Ossimori (quasi)

Nel giro di pochi giorni, tra Roma per il G20 e Glasgow per la COP26, gli schermi dei televisori e le prima pagine dei giornali si sono riempiti dei volti dei “grandi” della Terra, riuniti a decidere del futuro di nazioni e generazioni.
Discorsi (tanti), decisioni (poche), fotografie e selfie a profusione.

Intanto fuori (fuori dai palazzi, lontani dai caminetti, dalle sale-stampa) altre persone, a migliaia.

Se quelli erano i “grandi”, questi allora dovremmo chiamarli “piccoli”, giusto?

Però qualcuno, tra questi ultimi, ha affermato:

“I veri leader non sono là dentro, i veri leader siamo noi”.

Nella fattispecie si trattava di Greta Thunberg (che in realtà quei palazzi e quei caminetti ha cominciato da tempo a frequentarli), in mezzo ai giovani ambientalisti riuniti nel Festival Park di Glasgow.

Non vogliamo occuparci qui di climate-change, di diffusione dei vaccini, di lotta alla povertà, tutte questioni davvero importanti e urgenti che speriamo trovino nelle decisioni di questi giorni una via di soluzione. Vogliamo piuttosto, e molto modestamente, occuparci di un aspetto altrettanto importante e altrettanto urgente, come urgenti sono spesso le cose molto antiche, quelle che accompagnano l’avventura dell’uomo da sempre: il rapporto con colui che guida, colui che decide.

Il leader, insomma.

Pierre Joseph Proudhon, nel suo Che cos’è la proprietà? che uscì nel 1840 scrive:

“Quale dev’essere la forma del governo nel futuro? Sento alcuni dei miei lettori rispondere: «Ma via, come puoi fare una domanda simile? Tu sei un repubblicano.» Un repubblicano! Sì, ma questa parola non dice ancora nulla di preciso. Res publica significa la cosa pubblica; chiunque si interessi alla condotta della cosa pubblica, sotto qualsiasi forma di governo, può dunque chiamarsi repubblicano. Persino i re sono repubblicani. «Ma tu sei un democratico.» Neanche per sogno. «Che cosa sei allora?» Sono un anarchico!”

Proudhon era convinto che nella società operi una legge naturale d’equilibrio e perciò riteneva l’autorità nemica e non amica dell’ordine.

Meno di cento anni dopo, giusto al di là del confine francese verso oriente, schiere di giovani e meno giovani vestiti con uniformi brune e nere, marciavano cantando: “Un popolo, un impero, un capo.”

Quindi? Come ci gestiamo tra questi due esempi (e tanti altri potremmo aggiungerne) così significativi nella loro tragica definitività?

La questione non è astratta. Echi, magari più deboli e confusi, ma non insignificanti, li ascoltiamo nelle nostre piazze, dove donne e uomini di varia estrazione e spesso incerta cultura sostengono di saper decidere in totale autonomia come curarsi, senza il bisogno delle indicazioni della autorità sanitarie, ovviamente animate da oscuri interessi.

E in fondo anche quella storia dell’uno vale uno, ricordate?, non è che un riflesso neanche tanto sfumato della stessa tentazione di non riconoscere ruoli e competenze a cui riferirsi.

“In questo forte mutamento del clima di opinione, di grande confusione collettiva e di riduzione d’impatto del dato di realtà, i partiti pop-sov si propongono come scatole vuote nei quali ciascuno può scegliere l’istanza o l’elemento ritenuto curativo o che può sublimare le frustrazioni individuali.”

Un po’ forte Massimiliano Panarari, ma mai come oggi, in queste cose, si tratta di vita e di morte.

Ci piacerebbe fossero vere, non nel senso del desiderio che appassionatamente condividiamo, ma della concreta e quotidiana esperienza, le parole di Fabrizio de André:

«Aspetterò domani, dopodomani e magari cent’anni ancora finché la signora Libertà e la signorina Anarchia verranno considerate dalla maggioranza dei miei simili come la migliore forma possibile di convivenza civile.”

Lui era quello che cantava che “non ci sono poteri buoni”.

Forse è così. La storia ha una copiosa varietà di esempi di poteri che umiliano e mortificano l’uomo e l’umanità.

Però c’è anche altro.

“I veri leader devono essere in grado di sacrificare tutto per il bene della loro gente.”

Sono parole di Nelson Mandela, l’uomo che divenne leader della sua gente sudafricana molto prima di diventarne il Presidente.

Forse quella parola, sacrificio intendiamo, ha qualcosa a che fare con la soluzione della questione. Forse la responsabilità del potere come privilegio e sopraffazione può essere corretta, esorcizzata e sublimata solo da una altrettanto profonda disponibilità alla sofferenza e alla rinuncia.

Antitesi. Quasi ossimori: potere/rinuncia, potere/sacrificio…

Poi arriva un tale, e dice che regnare è servire, che chi vuole essere primo diventi ultimo, che se vuoi che ti riconoscano

autorevolezza, devi piegarti a lavare i piedi degli altri. Insomma uno che, quanto a quasi ossimori, aveva cominciato con Dio/uomo, per dire.

Nella logica di queste righe, volte più a suscitare domande che a offrire risposte, ci fermiamo qui, sperando di averne accesa qualcuna.

Buona Solennità di Cristo Re dell’Universo.