06 Ott 2023

Noi siamo il diluvio, noi siamo l’arca

Abbiamo il dovere morale di ribellarci a questo genocidio programmato.

È una delle frasi che si trovano nel programma di Ultima Generazione, il movimento ecologista che fa spesso parlare di sé per i blocchi stradali e l’imbrattamento di opere d’arte. L’apocalitticità (si dirà così?) di questa e altre dichiarazioni (tipo “dobbiamo ribellarci all’estinzione”), del nome stesso di questo movimento, dovrebbe essere lo stimolo, la carica per un impegno personale e collettivo per difendere il nostro pianeta.

Canta il rapper italiano Marracash nella canzone dal titolo, non a caso, Greta Thunberg:

Ce la posso fare, posso fare meglio di mio padre
Io ce la posso fare, cambiare, la mia razza si estingue.

Ora, premesso che riteniamo che il semplice, addirittura banale, gesto di raccogliere da terra una bottiglia di plastica e buttarla nel contenitore giusto sia, sostanzialmente ed educativamente, altrettanto importante delle impegnative decisioni di governi e ministeri sulle energie alternative, ci pare di leggere sotto questi generosi slanci ideali una pretesa non meno pericolosa dell’effetto serra. È la pretesa di individuare nell’uomo la causa e, conseguentemente, la soluzione del destino del pianeta e del genere umano.

Insomma, tutto dipende da noi: il guaio e il rimedio. Tutto nelle nostre mani.

Nessuno se non noi distruggerà la terra
e nessuno se non noi la salverà…
Noi siamo il diluvio, noi siamo l’arca.

Jonathan Safran Foer, Possiamo salvare il mondo, prima di cena

La responsabilità personale esiste, eccome. Ed esiste una sorta di responsabilità allargata, diffusa. Generazionale, potremmo dire. Ma non si gioca tutto lì.

C’è un approccio diverso, forse, in cui quella responsabilità deve coniugarsi con la coscienza del limite di ciò che possiamo fare, in cui le stupefacenti forza e creatività umane si scontrano con l’immensità del cosmo e delle sue energie.

Noi, a scuola, probabilmente siamo sul confine, là dove quell’approccio può trovare sintesi e concretezza.

Noi, a scuola, umilmente e quotidianamente, potremmo essere

coloro che non abbandonano l’uomo a sé stesso, né lo lasciano preda del suo disorientamento e dei suoi errori, ma con verità e misericordia lo riportano a ritrovare il suo volto autentico nel bene.

Papa Francesco

Abbiamo appena iniziato un nuovo anno scolastico. È già tempo di programmare e progettare e verificare e valutare. Ma come introduzione a tutto il nostro lavoro, vorremmo mettere ciò che rispose Italo Calvino a un intervistatore che gli chiedeva di suggerire “tre chiavi, tre talismani per gli anni 2000”:

Imparare delle poesie a memoria, molte poesie a memoria. Da bambini, da giovani, anche da vecchi. Perché quelle fanno compagnia. Uno se le ripete mentalmente. E poi lo sviluppo della memoria è molto importante. Anche fare dei calcoli a mano, delle divisioni, delle estrazioni di radici quadrate… cose molto complicate. Combattere l’astrattezza del linguaggio che ci viene imposto con delle cose molto precise. E sapere che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all’altro.

Buon lavoro a tutti.