Il maestro giusto
Il maggio francese del ’68, il movimento che alcuni considerano la più bella rivoluzione dell’età contemporanea, prese vita nelle aule e nei corridoi delle università, per dilagare poi nelle piazze di mezzo mondo.
Alcuni slogan di allora sono diventati quasi proverbi: «l’immaginazione al potere», «siamo tutti indesiderabili», «proibito proibire», «siate ragionevoli, chiedete l’impossibile».
Anche il ’77, in Italia, vide protagonisti gli studenti, a fianco di organizzazioni operaie e gruppi più caratterizzati politicamente (talvolta violenti e antidemocratici).
I più attempati tra noi ricordano che nelle scuole superiori di quegli anni era attivo e vivace un vero e proprio Movimento Studentesco.
Non solo. E non solo dalle nostre parti.
Piazza Tienanmen, a Pechino, venne colorata dal sangue di decine di studenti universitari schiacciati dai carri del potere. Studenti che dicevano: “Questo paese è il nostro paese. Questa gente è la nostra gente. Questo governo è il nostro governo. Se non facciamo qualcosa, chi lo farà per noi?”
E sono studenti e studentesse (soprattutto studentesse) in Iran a chiedere libertà e vita. E pagano, per questo, il prezzo più alto.
Sono, ancora, studentesse (o desidererebbero tanto esserlo) tante ragazze e giovani donne afgane.
Poi c’è (c’è stato?) Il Friday for Future, con sempre gli studenti protagonisti.
In maniera provocatoria, potremmo ricordare che perfino il termine talebani, tradotto letteralmente, significa studente, a ricordarci che ogni entusiasmo e ogni idealità, sradicata dal realismo e dalla tolleranza, possono diventare violenza e tragedia.
Alcune università americane ed europee, in questi giorni, sono occupate da studenti, che, con accenti diversi e diverse modalità, protestano contro l’occupazione israeliana della Striscia di Gaza. La situazione è sempre più tesa. Le forze dell’ordine, in qualche caso, sono intervenute duramente.
“Queste università hanno accesso ai migliori studiosi del mondo e a persone che rappresentano punti di vista diversi. Perché non discutere e dibattere tutto apertamente? Una volta che un’università rinuncia a questo, sta mettendo in dubbio la ragione fondamentale della sua esistenza”, sostiene Ezra Levinson della Jewish Voice For Peace.
Il tema è delicato e vibrante. Intendiamo il tema del conflitto arabo-israeliano, ma ancor più quello dell’educazione dei nostri giovani.
La questione palestinese, annosa e complicata, ci auguriamo tutti che possa un giorno risolversi. Ma l’altra, quella della crescita umana dei nostri ragazzi, resterà sempre. E sarà sempre, confronto aspro con chi adulto lo è già. Talvolta conflitto.
I ragazzi, i giovani, saranno in certo modo sempre radicali, sempre spalancati alla novità, talvolta confusi, ma raramente accontentabili con proposte al ribasso.
Il problema sarà perciò, domani come ieri come sempre, che adulti avranno davanti, che donne e uomini con cui paragonarsi.
Insomma: che maestri.
“Imparò tante cose,
però non era affatto soddisfatto
e sempre si domandava
(magari con un “qua qua”):
Che cos’è che non va?
Qualcuno gli risponda, se lo sa.
Forse era matto?
O forse non sapeva
scegliere il maestro adatto?”
(Gianni Rodari, Il maestro giusto)