26 Gen 2022

Il mare di ieri

La memoria, il ricordo possono essere una comoda poltrona su cui adagiarsi, con gli occhi chiusi e un sorriso velato di nostalgia a increspare le labbra.
Oppure possono essere una sedia scomoda, di quelle che ti costringono a tenere la schiena diritta e le gambe sempre un po’ in tensione, quasi che da un istante all’altro ci si debba alzare e andare altrove.

La memoria, il ricordo…

Arrivano, a distanza di pochi giorni l’una dall’altra (27 gennaio e 10 febbraio), le giornate simbolicamente dedicate a questa attività, a quella che, ci piace pensare, non è una sosta rivolta al passato, ma un lavoro sul presente e sul domani.

E allora prepariamoci, lavorando un po’.

C’è una canzone molto bella degli Stadio, il cui testo è del poeta Roberto Roversi, che dice di chiedere a una ragazzina di 15 anni chi erano i Beatles e:

“lei ti risponderà:
I Beatles non li conosco, neanche il mondo conosco,
Sì, sì conosco Hiroshima ma del resto ne so molto poco, ne so proprio poco
Ha detto mio padre l’Europa bruciava nel fuoco,
Dobbiamo ancora imparare, noi siamo nati ieri, siamo nati ieri
Dopo le ferie di Agosto non mi ricordo più il mare,
Non mi ricordo la musica, fatico a spiegarmi le cose
E per restare tranquilla scatto a mia nonna le ultime pose
Ma chi erano mai questi Beatles…”

“Dopo le ferie d’agosto non mi ricordo più il mare…”

Magari proviamo a fissare le cose con la macchina fotografica, con l’i-phone. Ma i nostri sono quasi sempre selfie. Poche panoramiche. Pochi ritratti dei volti incontrati.

Ma “la pioggia cade e presto è asciugata dal sole”.

E allora?

E allora si tratta, appunto, di lavorare. Non bastano le emozioni, anche le più autentiche. C’è bisogno di cuore e di pensiero,  di orecchie attente e di calli sulle mani.

“Voi che li avete girati nei giradischi e gridati,
Voi che li avete aspettati e ascoltati, bruciati e poi scordati
Voi dovete insegnarci con tutte le cose non solo a parole
Ma chi erano mai questi Beatles…”

Siamo noi, i più grandi, non sempre i più maturi, a dover iniziare, a dover offrire ai giovani sedie scomode per tenere desta l’attenzione e pronta l’azione.

Hannah Arendt, riferendosi a un’immagine di Walter Benjamin, scrive che il lavoro della memoria è come quello del pescatore di perle “che arriva sul fondo del mare non per scavarlo e riportarlo alla luce, ma per rompere staccando nella profondità le cose preziose e rare, perle e coralli, e per riportarne frammenti alla superficie del giorno”.
E ancora “che nella protezione del mare (…) nascono nuove forme e formazioni cristalline che, rese invulnerabili contro gli elementi, sussistono e aspettano solo il pescatore di perle che le riporti alla luce: come frammenti di pensiero”.
(Hannah Arendt, Benjamin: l’omino gobbo e il pescatore di perle, in Il futuro alle spalle)

Un mare immenso, quindi, profondo e misterioso e affascinante.
Un mare che ci raggiunge con i relitti di antichi naufragi trasportati dalle onde e contemporaneamente ci tenta con la prospettiva di nuove rotte e nuove avventure. Tuffiamoci.