31 Gen 2025

I GIORNI DELL’INIZIO

Scriviamo queste righe in giorni particolari (ma quali, per un motivo o per l’altro, non lo sono?).

Sono i primi dell’anno. Qualche attimo in più di luce ci fa intravedere una stagione che a breve si aprirà. Nuovi fragili governi si affacciano sulle macerie di vecchi regimi. Nuovi (nuovi?) uomini potenti promettono improbabili età dell’oro. Vecchie guerre si mescolano a nuove minacce.

Le grandi attese e i grandi timori dei popoli e delle nazioni incombono con la stessa drammaticità delle attese e dei timori delle singole persone. Del ragazzo che ha scelto con entusiasmo e timore la nuova scuola per l’anno prossimo e della donna in cerca di un lavoro dignitoso. Dei giovani che vorrebbero mettere su famiglia e dare vita a nuove storie. Di chi affronta traversate di deserti e mari per avere un futuro più umano.

“L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante.”

(Cesare Pavese)

Vale per tutti, in ogni stagione della vita.

Sono, però, anche giorni della memoria. Non del passato, ma dell’oggi. Perché la memoria, se non vuole essere solamente una polverosa nostalgia, è qualcosa che riguarda il nostro presente.

“La memoria non riguarda il passato. Ha a che fare con il futuro. (…) La memoria ha a che fare con la gioia.”

(Andrea Monda, L’Osservatore Romano, 27/01/2024)

Abbiamo celebrato da poco la Giornata della Memoria, nell’ottantesimo Anniversario della Liberazione del lager di Aushwitz-Birkenau, e mai come quest’anno intuiamo che questa ricorrenza ha a che fare con le tensioni e le paure che tutti noi affannano.

La memoria è un dovere civico, un lavoro che va condiviso, anche a costo di costringerci al confronto duro e sincero con chi ha altre idee e altre sensibilità.

In questi giorni di inizio, la memoria è anche un comandamento etico, vorremmo dire religioso.

” La storia biblica del popolo d’Israele sta qui a proclamarlo a chiare lettere: la memoria non è di un glorioso passato ormai andato perduto, non è nostalgia, ma speranza, perché è memoria di una promessa. Il popolo di Dio è il popolo dell’attesa e della promessa, cioè di una parola rivolta al futuro, non come minaccia, ma come segno d’amore, affettuoso incoraggiamento.” (idem)

Tutti al lavoro, ché la stagione è propizia.